venerdì, luglio 01, 2005

Campo Balota del Coren, aprile 2004


In attesa del prossimo campo, rinfreschiamo un po' la memoria... Ecco il commento di Wontolla al Campo Croce del 9/10 aprile 2004...

Oggi è il Venerdì Santo.
Attraverso i vetri della finestra si vede il cielo grigio e piovigginoso. Non è pioggia battente, è pioggia triste, autunnale.
Anche il cielo piange la morte di Gesù sulla Croce.
Alcuni di noi, Toni, Franco, Silvano, Giancarlo, sono già sul monte dal mattino per preparare il campo. Debbono rivestire il tepee e predisporre la copertura del tavolo per ripararlo dall’acqua.
La pioggia non li disturba: non è una novità per il Venerdì Santo; pressoché tutti gli anni abbiamo trovato acqua e nei pochi anni in cui non è piovuto il vento si è quasi sempre incaricato di dare fastidio; in un’occasione abbiamo avuto persino una breve nevicata.
In tanti anni che saliamo alla Croce ci siamo abituati alla pioggia e poi un tempo così uggioso, grigio e nebbioso è quello che ci vuole per riunirci ancora più stretti attorno al fuoco per risaldarci e per asciugare i panni umidi.
Per mezzogiorno altri, Piero Luca e Chiara, sono saliti per pranzare al campo e per attrezzare le tende.
Nel tardo pomeriggio arrivano anche gli ultimi, Riccardo e Flavio ed Enzo che passeggia tranquillo sotto l’ombrello; piantano le tende e poi entrano nel tepee per vedere cosa sta bollendo in pentola. Quest’anno Silvano ha preparato la trippa. È sul fuoco dalle sedici ed ogni tanto si deve aggiungere acqua perché non si asciughi troppo. È veramente invitante e l’attesa diviene lunga, come la fame.
Scendiamo ad accendere la Croce. Silvano, come sempre ormai, ha portato quella già pronta, da montare sul luogo, con lampadine e fili che vagano attorno. Ci raggiungono anche Diego e Ottavio, che pareva non poter venire perché ammalato.
Il cocuzzolo della Croce è immerso nella nebbia; si intravede a mala pena qualche scorcio di paese, ma non importa. Se anche la Croce non si dovesse vedere dal basso, noi abbiamo fatto quello che ci sentivamo in cuore. Vengono allacciati gli ultimi fili, collegata la batteria ed ecco che tutto risplende. Sapremo poi che uno squarcio di sereno l’ha resa perfettamente visibile dal paese.
Arriva Fabio e porta con sé i cappelloni che gli avevamo chiesto di ordinare. È una corsa ad accaparrarsi quello che calza meglio, indipendentemente dalla misura che risulta sul cappellone e da quello che avrebbe dovuto essere designato dopo che avevamo preso le misure con un cappellone grigio dell’Agesci. Forse proprio per questo le misure non coincidono.
Pazienza. Troveremo modo di rimediare.
È una sorpresa vedere che tutti sono venuti nonostante il tempo. Si sarebbe creduto a maggiori assenze mentre invece mancano Estevan che col motorino avrebbe dovuto affrontare, la sera dopo il lavoro, un mare di fango lungo la strada, Luciano che ha forti dolori alla schiena e non si sente di affrontare l’umido e la pioggia, Enrica e Natalia che latitano.
Non mancano gli eterni amici Franco e Raffaello, che ormai potrebbero essere considerati dei nostri.
Vi sono alcuni giovani, Rudi anche lui ormai un abituale, Mauro e Gianmaria che normalmente salgono alla Croce con un altro gruppo, Gianluca.
Attorno al fuoco che di solito viene acceso al roccolo, proprio sul crinale allo scoperto, si raccoglie uno sparuto gruppetto di una decina di giovani, in parte conosciuti perché anche loro salgono abitualmente alla Croce. Sono gli unici oltre a noi.
Manca la ressa dello scorso anno. La pioggia tiene lontani le masse di giovani schiamazzanti che salgono sul monte solo per fare una passeggiata serale fuori dall’ordinario.
In parte è indubbiamente così anche per noi, ma se non avessimo la tradizione che ci unisce, se non avessimo quello spirito di amicizia e di dedizione che ci ha spinti i primi anni a trasportare a spalle la Croce fin lassù, sapendo cosa rappresenta in quella sera particolare, non credo che avremmo raggiunto tanti anni di presenza con sole, pioggia o vento.
Siamo felici che gli altri siano rimasti a casa. Sarà una affermazione egoista, ma viviamo intensamente la nostra tradizione. Gli anni scorsi, quando non avevamo ripreso a dormire in tenda, rientravamo la sera presto per sfuggire alla ressa, al rumore, all’impossibilità di quell’attimo di quiete e raccoglimento alla Croce che abbiamo sempre desiderato.
Gli anni scorsi eravamo giunti al punto di lesinare nella raccolta di legna, ben sapendo che saremmo scesi prima del previsto e la nostra raccolta di legna sarebbe servita solo agli altri che avrebbero approfittato, come ormai da tempo avveniva, delle nostre fatiche senza neppure una parola di ringraziamento.
I primi anni quelli che salivano alla Croce pur non essendo dei nostri erano comunque amici che si riscaldavano con noi allo stesso fuoco, dividevano con noi il cibo, ridevano e scherzavano con noi.
Negli ultimi anni nessuno si conosce più, vengono accesi quattro o cinque fuochi diversi, da gruppi di ragazzi che vivono la serata per proprio conto. Addirittura l’anno scorso avevano steso la tovaglia sul sentiero che porta alla Croce impedendo il passaggio.
Quest’anno siamo potuti salire da soli alla Croce, ci siamo raccolti sulla Balòta e siamo rimasti in silenzio a guardarci attorno, nell’evanescenza della nebbia che ci circondava. Abbiamo pensato che nessuno ci avrebbe visti, ma ci importava relativamente. Erano quegli attimi di raccoglimento che ci interessavano, quel silenzio che ci univa come un dialogo vivo.
Ci siamo messi poi a chiacchierare sfidando acqua e vento.
Il pensiero della parte profana della nostra festa ci ha richiamati al campo.
Anche Nereo è salito per accompagnare Luca, e si è fermato con noi a cena.
Affettati, formaggi e soprattutto trippa. Se fosse stata il doppio sarebbe comunque sparita.

Sono apparsi i primi bicchieri gigliati. Sì, bicchieri gigliati. È stata l’idea di Ottavio di acquistare bicchieri di acciaio, per sostituire quelli abituali di plastica, e portarli ad un incisore per farvi incidere il giglio Asci ed il totem di ciascuno di noi. Alcuni avevano il totem sino da quando si era giovani scout, per quelli che il totem non lo avevano è stato creato scegliendo l’animale che si è ritenuto più congeniale a ciascuno, anche in relazione al nome della squadriglia di appartenenza.
L’incisore dopo aver realizzato solo tre bicchieri si è ammalato e quindi non è stato possibile averli per tempo da distribuire a tutti. Si provvederà più avanti, sperando di trovare un incisore con prezzi inferiori. Incidere l’acciaio e per di più sul tondo pare non sia cosa facile.
Pioggia e fango. Tanto fango. Il campo era stato com-pletamente ripulito dal fogliame per renderlo ben presentabile ma il continuo calpestio attorno al tavolo e sull’ingresso del tepee hanno creato fanghiglia e buche. La cosa non ci ha disturbati più di tanto.
Che invece ha disturbato a lungo è stato il fumo dentro al tepee. La bassa pressione non gli consentiva di salire in alto ed uscire dal varco che ogni tepee che si rispetti presenta nel vertice, all’incrocio dei pali. Ristagnava in basso, ondeggiava all’interno ogni volta che si apriva la “porta” e qualcuno passava, entrava negli occhi facendoci lacrimare. Nonostante tutto il tepee era caldo ed accogliente, ma il terreno era bagnato e quindi non sarebbe stato consigliabile per quest’anno dormire all’interno. Per starvi in compagnia invece andava benissimo.
La cena si è consumata all’esterno, sul tavolo, dove ci siamo stretti l’uno all’altro per tenerci mag-giormente caldi. Affettati, formaggi, sottaceti e finalmente trippa.
Il vino è stato recuperato da sottoterra, dove Toni aveva seppellito un bottiglione da cinque litri ed una bottiglia di plastica con altro, di diversa provenienza. Bisogna riconoscere che la cura della terra ha giovato al gusto ed alla maturazione e, cosa insolita, sia il vetro che la plastica sono completamente macchiati dal vino.
Non mancano aranciata e coca cola per i giovani astemi.
Finita la cena tutti nel tepee ove sono state distribuite anche la colomba e la torta.
Dopo tanti anni di “fuga” quasi forzata senza neppure attendere la mezzanotte, siamo rimasti alzati fino oltre le due a chiacchierare. Dodici hanno dormito nelle tende, altri sono scesi perché gli acciacchi ogni tanto assillano anche noi giovani.
A Flavio si è rotta la tenda nel montaggio ed aveva deciso di dormire comunque nel tepee. Poiché questo era occupato dai giovani che non avevano nessuna intenzione di andarsene a dormire, è sceso a casa ed è risalito non appena finita la notte.
Il mattino ci siamo alzati verso le sette, ma i giovani del gruppo neppure si sono accorti che ci stavamo dando da fare attorno al fuoco per la colazione. Quando si è giovani si dorme tranquillamente, caschi il mondo accanto. Per il vero tutti abbiamo dormito bene, anche se le ore di sonno sono state poche.
Il fuoco nel tepee è stato risvegliato, è stato fatto il caffè, la colomba rimasta dalla sera è volata equamente a tutti.
Abbiamo la fortuna che non piove più. Il cielo è sempre grigio e non promette nulla di buono, ma non piove. È il momento più adatto per togliere il campo, anche se è presto.
Non pranzeremo sul monte, perché Franco ci ha invitati a casa sua, dove ha ricavato una taverna.
Facciamo la spola come tante formiche operose per portare l’attrezzatura alle auto. Le ultime fotografie con i ragazzi che finalmente sbucano dalle tende. Siamo avvolti nella nebbia. Un’ultima salita alla Croce, le ultime fotografie anche qui, per mostrare che tutt’attorno non si vede nulla. Pare che la Croce sia appesa nel cielo perché non ci sono che nuvole.
Una fotografia anche ad una piantina che reca appese alcune perle d’acqua. Non è una gran fotografia, ma significativa della situazione del giorno.
Rientriamo facendo un sentiero diverso dal solito. Prendiamo quello che gira attorno alla colma verso Monticelli. Attraversiamo un boschetto di erica arborea in fiore. Tutte le piante sono cariche di perline di acqua che cadono al nostro passaggio. Il bosco è avvolto nel silenzio. La quiete ci riempie il cuore.
Abbandoniamo il monte e ci rifugiamo a casa di Franco.
Tranne i giovani ci siamo tutti.
Toni ha portato una splendida fotografia della croce carica di neve, scattata lo scorso mese, nonché i cd che ha realizzato con le vecchie canzoni scout. Ne ascoltiamo alcune con un poco di nostalgia, presto fugata da Silvano che chiama a raccolta.
I ricordi sono troppo belli per cacciarli dalla mente e mentre si pranza la musica ci accompagna.
Buona strada, al prossimo anno.