venerdì, marzo 24, 2006

Campo invernale 2006


E’ passato un lustro da quando siamo partiti in cinque per ricominciare l’avventura, carichi di entusiasmo.
E dopo un altro lustro siamo nuovamente partiti in cinque, non più giovanissimi, più attempati, ma sempre con lo stesso giovanile entusiasmo.
Eravamo nel cortiletto di Iseo e stavamo parlando del più e del meno nella fredda sera invernale, quando lo sguardo è salito sino alla Croce. Ci siamo guardati negli occhi e subito ci siamo detti: perché no?
Un giro di telefonate per sapere se altri erano interessati ad un campo invernale sulla neve, con pernottamento in tenda.
Alcuni erano via, altri al lavoro, ma saremmo sicuramente andati anche se fossimo rimasti solamente in due.
A casa di Flavio ci ritroviamo in cinque: Flavio, Ottavio, Riccardo, Silvano, Toni.
Sono le 14,00 del quattro gennaio, giorno lavorativo, ma per l’avventura scout qualche ora la si può trovare.
Toni non smentisce il suo totem ed arriva brontolando, giustificato dal fatto di avere grossi problemi con il nervo sciatico.
Per poter partecipare si è dopato con una iniezione di cortisone e di un altro medicinale, ma teme ugualmente di non poter reggere la camminata.
Affardellati di tutto punto con zaini, sacchi a pelo, tende e cibaria, ci mettiamo in cammino.
Tre tende. Ne portiamo una in più del necessario anche solo per stare più comodi, utilizzandone una come magazzino. O come luogo di esilio per i russatori.
La partenza avviene un poco in ritardo rispetto alle 14, l’orario previsto.
La giornata ci arride, non fa freddo e c’è il sole. Si chiacchiera allegramente e ci fermiamo qua e là per scattare fotografie, incuranti dei richiami di Flavio che ci rammenta che le giornate sono ancora parecchio corte.
Da Padone a Bosine sul nastro d’asfalto. Ricorda altri tempi, quando un poco più giovani partivamo spesso e volentieri per i nostri campi sopra Iseo o sopra Sulzano.
A Bosine abbandoniamo l’asfalto e prendiamo la stradella interna al monte. Incominciamo a calcare la neve.
Scendiamo al “Senter del gat”. Poche tracce nella neve davanti a noi. Pochi sono passati osando aggirarsi a passeggio per il monte. Ancora una sosta per le fotografie. Finalmente arriviamo al guado del torrente Cortelo. Fortuna vuole che vi sia poca acqua perché è ancora tutta neve ed il disgelo è lontano.
Riusciamo persino a non bagnarci, facilitati nel guado dalle pietre emergenti dall’acqua.
Toni ha le due classiche racchette da neve.
Silvano crea estemporaneamente un bastone per Ottavio e più avanti un secondo. Anche lui ha così le sue “racchette”.
Di nuovo la salita. Le peste nella neve sono scomparse. Nessuno ci ha preceduto su questa parte del sentiero. Vediamo invece numerose tracce lasciate dai cinghiali. Auspichiamo un incontro favorevole, perché Silvano cucinerebbe volentieri un buon arrosto .
A terra moltissime piante, sradicate dalla neve (non so perché, ma continuo a scrivere la parola “neve”), creano uno spettacolo desolante. Ma non troppo, perché il pensiero corre subito al caminetto ed al trasporto a valle del legname.
A parte il pensiero del caminetto, è un vero peccato vedere il bosco con tutte quelle piante a terra.
Anche il sentiero che stiamo percorrendo ne è attraversato. Una grossa ostacola il cammino. Non è possibile aggirarla causa la situazione del terreno e la neve abbondante in quella zona del bosco, né è possibile scavalcarla perché troppo grande e sdraiata troppo in alto.
Necessita strisciarle sotto ed affardellati come siamo non è cosa semplice perché lo zaino impedisce i movimenti, ma finalmente la spuntiamo.
Non è l’unica, perché altre piante lungo il cammino ci fanno strisciare nella neve.
Spuntiamo infine ad un roccolo da dove vediamo stendersi il panorama del lago, velato da una coltre di umidità che lo rende sbiadito.
Fa caldo, siamo sudati perché in questo momento l’aria, riscaldata dal sole, ha una temperatura particolarmente mite. Togliamo le giacche a vento ed anche i maglioni.
Avanti ancora, più presto, perché il sole incomincia a declinare e la meta non è poi così vicina. Ci siamo divertiti troppo a far fotografie ed a commentare i luoghi.
Ottavio fatica più di tutti. Non ha potuto calzare gli scarponi per problemi ai piedi ed usa le scarpe di tutti i giorni, che non sono certo il massimo nella neve. Si bagnano e continuano a scivolare. La sua salita è faticosa, ma supplisce con la forza di volontà e la tenacia.
Anche Toni fatica, perché il dolore allo sciatico, sia pure attenuato dai farmaci, è sempre presente.
Superiamo un paio di ponticelli in legno, ormai marcescenti, ed arriviamo alla casina di Flavio. Non la degniamo neanche di uno sguardo e passiamo oltre (prima di ripensarci).
Al Fidrighì troviamo il vecchio sentiero del monte chiuso da un cancello. La casa è stata rinnovata, è stato ricavato un ampio terrazzamento vista lago, una bella staccionata in legno circonda l’area, chiusa da un cancello metallico.
Ma il vecchio sentiero ci spetta. Non potevano chiuderlo arbitrariamente.
Saltiamo la staccionata, attraversiamo il terrazzamento e dall’altro lato ci sbarra la strada un secondo cancello. Torniamo a saltare la staccionata e ci reimmettiamo nel sentiero.
Da qui incomincia una salita piuttosto impegnativa, soprattutto per Ottavio che fatica e scivola. Per facilitarlo, più moralmente che praticamente, Silvano lo lega con un cordino che, a parte la lunghezza, per diametro pare una stringa da scarpe, ed incomincia a tirarlo.
Sbuchiamo finalmente poco al di sopra della Croce, allacciandoci al sentiero che scende alla Madonnina di Provaglio. Poco sopra è la nostra meta, il tepee che abbiamo costruito tre anni addietro e che è ancora, speriamo, al suo posto.
Il buio ci circonda e percorriamo le ultime decine di metri con la pila accesa.
Il tepee ci attende come speravamo.
Deponiamo gli zaini, togliamo i seggiolini che ci siamo portati ed incominciamo a gustare il piacere si essere seduti.
Silvano già ha acceso un bel fuocherello in mezzo alla neve caduta dal buco del tepee.
In alcuni punti il telo è lacerato dal tempo e presenta dei buchi non indifferenti. Nessun vandalismo però, e questo è sicuramente un buon segno. In altri punti è tutto bucherellato, come se uno sciame di tarme si fosse accanito in cerca di cibo.
Mentre la fiamma incomincia ad ardere un sorso di vino ci toglie la sete e la stanchezza.
Toni si allontana e poco dopo riemerge con una delle bottiglie d’acqua che erano state sepolte lo scorso anno. Dobbiamo convenire che è buona cosa lasciarle in loco per le emergenze come questa.
Ci rivestiamo perché il calare del sole ha rinfrescato l’aria. La luna fa capolino tra le piante con il suo piccolo quarto crescente.
Flavio incomincia ad arrotolare una “garza” sui bastoni di Ottavio, ottimi per l’occasione. Pare che li voglia ingessare. In realtà è pasta da pane che, arrotolata sui bastoni, verrà poi posta sul fuoco a cuocere. Il classico twist scout che non facevamo più da anni.
Oltre a quello Silvano sciorina le cibarie da mettere ai ferri: salamine, pancetta, fegato, pollo, costolette di maiale. Pare non debba più finire, tanto che ne rimarrà a fine cena.
Toni è allegro, non avrebbe mai rinunciato, per nessun motivo, a questo campo. Però si fa cambiare il cerotto che contiene antidolorifico, in attesa di nuovamente doparsi con l’iniezione.
Durante la cena piove all’interno del tepee. È la neve che lo ricopre che incomincia a sciogliersi bagnandolo. Necessita un urgente intervento per farla cadere a terra. Si accumula sui bordi esterni ed impregna di acqua la parte basse del telo.
Decidiamo di non montare le tende e di dormire nel tepee. Tutti hanno uno stuoino per proteggersi dal freddo e dall’umido che salgono dal terreno. Riteniamo che non possa fare tanto freddo da impedirci il sonno dei giusti.
Nel cuore della notte un vento gelido si alza violento. Scuote i teli, fa sbattere quelli slabbrati, lo si sente fischiare attraverso i buchi del tepee e tra i rami delle piante.
La temperatura scende, sicuramente almeno a setteotto gradi sotto lo zero. Neppure ce ne accorgiamo. Domiamo tranquilli dopo aver fatto spegnere il fuoco per evitare che le scintille ci piovano addosso o che nel muoverci nottetempo involontariamente finiamo col rotolarci sulle fiamme.
Giunge l’alba. È l’ora di far colazione.
L’alpenstock di Riccardo adempie finalmente alla sua funzione reggendo la fiamma di gruppo.
Silvano riaccende il fuoco e prepara il caffé. Poi scalda la carne rimasta dal giorno prima. Nel frattempo Flavio spela un salame. Il profumo fa balzare tutti fuori dal tepee. Compare anche l’ultima bottiglia, di ottime bollicine, fresca a puntino.
Caffé, carne, pane e salame e bollicine. Nulla di meglio per ridare energia.
Acqua per lavarsi non ce n’è. Si toglie la crosta ghiacciata della neve e quella sotto è abbastanza morbida per darsi una “sciacquata” al viso.
Rifocillati, ricomponiamo gli zaini e ci prepariamo al rientro.
Toni ha necessità di farsi fare l’iniezione di cortisone, misto all’altro medicinale. Provvede Flavio, ormai esperto di iniezioni che pratica abitualmente alle sue pecore. Toni diffida, ma non può fare a meno di accettare.
Il cielo è velato dalle nuvole. In marcia. Uno dietro l’altro, commentando allegramente la nostra nuova avventura. Di nuovo sulle tracce che abbiamo lasciato nel salire, mentre nella seconda parte della discesa, giunti alla casina di Flavio, decidiamo di modificare il percorso passando davanti a “Pianesse”. Qui abbiamo la sorpresa di vedere che con una pianta e due ringhierine in legno, è stata realizzata una sorta di cappelletta con l’effige della Madonna. Poiché fa freddo le hanno incorniciato tutto il viso con il velo, tanto che sembra un turbante islamico. Potenza del dialogo tra le religioni.
Non troviamo traccia del nuovo sentiero, coperto dalla neve e dalle piante cadute. Pazienza. Sappiamo di dover scendere e ci gettiamo nel sottobosco creandoci la strada sino a nuovamente guadare il Cortelo, dove ci ritroviamo sul “Senter del gat”. Manca ormai poco a casa, manca pochissimo al mezzogiorno.
Flavio riceve una telefonata da Anna che chiede dove siamo e propone una calda pastasciutta per i “reduci”. Nessuno si tira indietro.
Giunti a casa da Flavio ci aspetta un pranzo completo, ricco, abbondante e ben innaffiato.
Peccato che sia un giorno lavorativo e che si debba far rientro alle proprie occupazioni e quindi si debba scappar via.
Sono ormai le 14,00 del cinque gennaio e si deve sfruttare la rimanente mezza giornata per il lavoro.
Qualcuno afferma che l’avventura è stata troppo impegnativa, che non la rifarà (sicuramente sino alla prossima volta). Ma siamo giovani, baldi e fieri e non mancheranno altre occasioni. Se poi ci saranno problemi, certo troveremo il modo di superarli.


P.S.
Il lungo ritardo nella pubblicazione del post è dovuto all'attesa della fine della convalescenza di Toni, prestatosi suo malgrado agli esperimenti della "squadra iniezione"... (Tutto si è risolto per il meglio! E il paziente non ha neanche iniziato a belare...)