giovedì, aprile 20, 2006

Croce, 14-15 aprile 2006


Caro vecchio tepee. Gli occhi volti al monte non attendono altro che di poterti rivedere.
Le giornate si sono fatte più lunghe, la temperatura è mite e c’è il desiderio di abbandonare il lavoro e per un paio di giorni tornare lassù, immergendosi nella natura tra le piante ed il sottobosco, lontano dai rumori e dal ritmo della vita quotidiana.
E finalmente arriva il Venerdì Santo.
Qualcuno è riuscito a partire al mattino ed è già là ad attenderci, altri come sempre seguiranno più tardi. Non tutti ci saranno quest’anno, impegnati altrove, ma sino all’ultimo confidiamo di poterli incontrare.
La strada per arrivare è ormai nota, imparata a memoria e sarebbe quasi possibile percorrerla ad occhi chiusi. Gli ultimi metri, percorsi sul crinale del monte, sono quelli che si percorrono più velocemente, anche perché si sentono in lontananza le voci degli amici che ci aspettano.
La tenda principale, la Mottarone, è già montata ed altre piccole sono state installate tutt’attorno. Una è stata adornata con una frasca di erica arborea, un piccolo tocco leggiadro.
Accanto al tepee il treppiede, cui appendere la pentola per cucinare, è già pronto e pure la buca che dovrà contenere il fuoco, ma è ancora presto per pensare al cibo, anche se l’aria del monte e l’assenza di pensieri stuzzicano.
Si preparano le bandiere, e prima di issarle cerchiamo di liberare il cielo dai rami vecchi e rinsecchiti che lo occupano. Non è possibile salire così in alto e quindi compaiono una scure ed alcuni metri di cordino ed è subito fatto. Il lancio della scure è sempre stata una nostra specialità, anche solo per far scavalcare il ramo e consentire di tirarlo a terra con il cordino.
Finalmente salgono le bandiere, una cerimonia quasi informale, perché siamo ancora molto pochi. Compare anche la fiamma di Riparto, attaccata ad un alpen-stock e domina il campo.
In attesa di accedere il fuoco si raccoglie la legna secca del sottobosco. Spunta una piccola motosega che compie miracoli tagliando e sminuzzando e poco dopo, pur essendo presto, la fiamma comincia ad ardere riscaldando l’animo.
Sul dosso davanti alla Croce è stato acceso un altro fuoco. Sono i nostri giovani, che hanno pensato di avere ospiti altrettanto giovani nella bella serata incombente e di fare un poco di baraonda tra di loro. La tenda però è al solito posto, insieme alle nostre.
Nel loro pentolone borbotta l’acqua, perché hanno deciso di far bollire carni e verdure per un buon brodo ristoratore. Non sapremo mai cosa effettivamente hanno fatto, cucinato e mangiato.
Risaliamo al campo per il pranzo che è stato parco. Si è pensato di mangiare qualche cosa alla svelta, in attesa di una sicuramente succulenta cena.
Compaiono affettati e formaggi, oltre dolci e strane bevande colorate. A tavola si radunano Chiara, Gianluca, ormai dei nostri il Venerdì Santo, Flavio, Riccardo, Giuseppe, Giancarlo, Franco.
Appena finito ci mettiamo nuovamente al lavoro per finire di rassettare e sistemare attorno alle tende. Mentre lavoriamo arrivano Ottavio e, inaspettata per l’orario inusuale, Agostina che si sofferma con noi più del solito, favorita dal clima e dalla calda luce del sole. E come sempre se ne va ricordandoci che anche il prossimo anno tornerà a trovarci.
Caro vecchio tepee. Bellissimo, ma ormai logorato dal tempo e dalle intemperie. Un vecchio scout passando ha visto le sue condizioni e ci ha chiamati per donarci il telo, che produce nella sua azienda, per sostituire quello rovinato. Sicuramente provvederemo e nel frattempo ringraziamo questo amico che ha ancora nell’animo lo spirito scout.
Si susseguono gli arrivi ed arriva anche la Croce portata da Silvano. In fretta provvedono a montarla, coadiuvati da Giancarlo e controllati da Franco. Il sole del tramonto ci illumina e rende il momento ancora più intenso.
Al campo, Giuseppe si dà da fare con il fuoco ed incomincia a predisporre per la cena, mettendo a cuocere sotto le braci un piatto sconosciuto.
Sediamo al tavolo nella scarsa luce serale. Sono arrivati anche Fabio e Lucia, accompagnata dalla Gabri. Non manca mai all’appuntamento neppure Enzo che, Sornione e quatto quatto, arriva improvviso come sua abitudine.
La cena è tutta una sorpresa. Il primo è costituito da riso con tartufo e quaglia, con contorno di uova sode di quaglia.
Da sotto le braci spunta il piatto sconosciuto. E’ capretto che oltre al profumo ha anche un gusto eccezionale. È sin troppo abbondante. Questa volta Silvano si è superato nel predisporre per la cena.
La notte scorre più tranquilla del previsto, le solite orde barbariche non sono salite alla Croce nonostante la clemenza del tempo. Nessuno grida nel rientrare a casa, nessuno si ferma in mezzo alle tende con l’acceleratore della motocicletta al massimo. Finalmente una notte tranquilla, senza che si debba pregare di avere il maltempo che avrebbe costretto a casa i gruppi di chias-soni.
Le luci dell’alba sono la miglior sveglia che esista e quindi presto si è in piedi. Giuseppe accende il fuoco e subito arriva Piero che rimette il pentolone a borbottare sul fuco e poi distribuisce brodo a tutti come energetico mattutino.
Riordiniamo il campo, puliamo le stoviglie e soprattutto recuperiamo carte ed altro che sono caduti in terra. L’ambiente deve essere lasciato ben pulito, anche più di come lo abbiamo trovato quando siamo arrivati.
Scendiamo alla Croce per un ultimo saluto.
Uno spettacolo desolante sul dosso dove c’è l’appostamento da caccia. Troviamo di tutto: bottiglie di vino ancora piene, una di birra, tutt’attorno bottiglie vuote, panini ancora intatti, bistecche, un mezzo salame ed altro che non è il caso di elencare perché richiederebbe troppo.
Come sempre ci armiamo di pazienza e di sacchi neri dello sporco e rassettiamo l’ambiente.
Rientriamo al campo e ci guardiamo attorno ancora una volta. Fortunatamente quest’anno non c’è da correre per scivolare via tra uno scroscio di pioggia e l’altro e quindi possiamo prendercela comoda. Smontiamo le tende, togliamo il campo e riaccendiamo il fuoco per il pranzo. Non ci vuole gran ché, visto che dalla sera abbiamo avanzato ancora molto.
Una volta tacitato lo stomaco provvediamo per i tempi bui. A colpi di badile si scavano un paio di buche dove nascondiamo le preziose bottiglie di vino che torneranno a vedere la luce il prossimo anno, cinghiali permettendo. Si proprio così, perché le bottiglie interrate lo scorso anno erano sparpagliate in giro. I cinghiali hanno scavato, forse sentendo la presenza di liquido o forse in cerca di cibo, ma le hanno disdegnate perché non di loro gusto.
Terminata la fatica è ora di riprendere il cammino e rientrare alla vita di tutti i giorni, come sempre in attesa di reincontrare gli amici alla prossima occasione.

giovedì, aprile 06, 2006

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